La Cassazione, con ordinanza n. 8010/2022 «afferma che l’ammissione di un credito allo stato passivo non fa stato fra le parti fuori dal fallimento, poiché il c.d. giudicato endofallimentare, ai sensi dell’art. 96, comma 6, l. fall., copre solo la statuizione di rigetto o di accoglimento della domanda di ammissione, precludendone il riesame».
L’ordinanza prende le mosse da una complessa vicenda giudiziale, nella quale il Tribunale di Milano si era espresso sfavorevolmente rispetto alle pretese avanzate dal Fallimento di una s.r.l. in liquidazione contro una S.p.A. sul presupposto dell’intervenuta risoluzione di un contratto di leasing. Investita della questione, la Corte di Appello di Milano rigettava tutti i motivi di gravame sulla base degli stessi presupposti illustrati dai giudici di primo grado.
Adita la Corte di Cassazione, i giudici di Piazza Cavour osservano che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente affermato l’esistenza di una preclusione scaturente da un giudicato endofallimentare, poiché la pronuncia di secondo grado ne avrebbe scardinato il perimetro oggettivo, arrivando ad incidere anche sulla domanda proposta in ordinaria sede di cognizione, in conflitto coi dettami dell’art. 96, ultimo comma, l. fall..
Ma vi è di più: secondo la Cassazione, i provvedimenti adottati dal giudice delegato al momento della verifica dell’esistenza dei crediti esplicano i propri effetti giuridici solo ed esclusivamente nell’ambito della procedura fallimentare, impedendo nel contempo l’esame delle questioni inerenti alla natura e all’entità dei crediti; pertanto, ai sensi dell’art. 96, co. 6 l. fall., l’ammissione di un credito allo stato passivo in ambito endofallimentare copre solo le questioni inerenti il rigetto o l’accoglimento della domanda di ammissione.