Con l’ordinanza interlocutoria n. 8603 del 16 marzo 2022, la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite una controversia concernente un contratto di leasing finanziario relativo ad un immobile da costruire.
La vicenda giudiziale scaturisce da un’azione monitoria promossa dalla società concedente per ottenere il pagamento dei canoni di leasing rispetto ai quali l’utilizzatore si era reso inadempiente.
L’inadempimento dell’utilizzatore, in particolare, interveniva con riferimento ad un contratto di locazione finanziaria di immobile da costruire, nel quale la valuta di riferimento, ai fini della determinazione del valore dell’operazione, era stata stabilita nel franco svizzero, anche se con previsione di pagamento del canone in euro.
Nella trama contrattuale era stata inoltre prevista un’apposita clausola di indicizzazione dei canoni, basata su due diversi parametri: da un lato, il Libor CHF trimestrale e, dall’altro, il puro e semplice cambio tra franco svizzero ed euro.
In primo grado, il Tribunale di Udine accoglieva l’opposizione dell’utilizzatore, ritenendo che la clausola di indicizzazione dei canoni, così come concepita, costituisse uno strumento finanziario speculativo, e che, pertanto, la società convenuta avesse violato le norme sugli obblighi posti in capo agli intermediari finanziari, che impongono a questi di dare adeguata informazione alla clientela circa le caratteristiche dei prodotti proposti.
In sede di appello veniva confermata la decisione del giudice di prime cure sostenendo che la clausola suddetta risultava avere funzione puramente speculativa, incompatibile con le effettive necessità di un contratto di leasing, nel quale si introduceva tra l’altro un elemento di squilibrio tra le parti.
La vicenda infine approda in Cassazione, avanti alla quale la società di leasing ricorrente rilevava, in primo luogo, come l’uso corretto dei criteri ermeneutici avrebbe portato a comprendere che la reale intenzione delle parti fosse quella di strutturare l’operazione in valuta estera, e non già in valuta nazionale, e che le clausole di indicizzazione si rivelavano più semplicemente come normali clausole, diffuse nella prassi bancaria in un rapporto acceso in divisa estera a tassi variabili, da un residente in area euro che pertanto pagava in valuta nazionale.
Inoltre, precisava la ricorrente, la clausola di doppia indicizzazione non poteva comunque avere natura di strumento finanziario derivato, in quanto la differenziabilità che essa creava era solo finanziaria, e non già derivativa, nel senso che non mirava a far lucrare ad una delle parti solo il differenziale registrato sulle differenze di valore, ma mirava semmai a precisarlo.
Il tutto senza trascurare che requisito precipuo del contratto derivato è l’autonomia rispetto al contratto ospite, nel senso che esso diventa scorporabile da quest’ultimo e autonomamente negoziabile sui mercati finanziari: caratteristiche entrambe assenti nella stipulazione in questione.
Questo il contesto ermeneutico in cui la Terza Sezione della Suprema Corte sarebbe dovuta intervenire con riferimento ai seguenti temi di indagine: (i) se la clausola contrattuale di doppia indicizzazione fosse da considerarsi un derivato implicito, e dunque tale da costituire uno strumento di speculazione; (ii) oppure, se anche non essendolo, la clausola così inserita nel contratto di leasing potesse incidere sulla funzione di quest’ultimo, snaturandola o piegandola ad altri scopi.
Sulla tematica, come detto oggetto di rinvio alle Sezioni Unite per un definitivo riordino della materia, la Corte di Cassazione ha da sempre mostrato un atteggiamento ambivalente: da un lato, alcune pronunce hanno dichiarato la nullità della clausola di cambio ogniqualvolta non fosse sufficientemente determinato il criterio di indicizzazione, mentre altre hanno ritenuto che essa non potesse ontologicamente essere considerata uno strumento finanziario derivato, ma semplicemente un meccanismo di adeguamento della prestazione pecuniaria, come tale causale rispetto al contratto sul quale insiste e non liberamente trasferibile sul mercato.
Non resta che attendere una definitiva pronuncia delle Sezioni Unite, utile a fondare nuovi parametri giuridici entro i quali intendere ed interpretare la clausola di cambio.