1. Il caso
La questione risolta dal Giudice civile nel giugno 2021, riassunta nel Verbale di Udienza per la procedura n. 1 del 2021, ha visto il concatenarsi di diverse norme ed istituti, la cui esatta definizione e perimetrazione è risultata di fondamentale importanza per arrivare ad una conclusione logico-giuridica quanto più lineare ed oggettiva possibile.
In particolare, la questione ha pure riguardato l’esatta portata da assegnare ai criteri dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (di cui si dirà meglio in seguito), nell’individuare il limite di finanziabilità così come rappresentato dall’art. 38 T.U.B.
La vicenda, in sintesi, è relativa all’ammissione al passivo di L., per una data somma, in via ipotecaria, nonché di un’ulteriore somma in via chirografaria; il Liquidatore ha ammesso il credito nella misura indicata, ma senza riconoscere il privilegio ipotecario.
Nella documentazione allegata dall’istante vi era, altresì, una copia del contratto di mutuo fondiario (stipulato dal debitore), garantito da ipoteca volontaria di I grado sui beni immobili.
Il Liquidatore ha basato la sua decisione sull’assunto che fosse stato superato il limite di finanziabilità di cui all’art. 38 T.U.B., con conseguente nullità del contratto di mutuo per violazione di una norma imperativa di legge, e richiamando, quindi, a fondamento del suo ragionamento, i valori OMI 2008.
L’istante, per il tramite dell’advisor Loyers, ha redatto una perizia estimativa dei beni, in forza della quale ha sostenuto che il limite di finanziabilità ex. art. 38 T.U.B., non sarebbe stato, in realtà, superato.
Il Tribunale di Reggio Emilia, preso atto della documentazione depositata dalle parti, ha concluso per l’ammissione dell’istante al passivo in via ipotecaria, sottolineando che quanto sostenuto dal liquidatore (e, cioè, il superamento del limite di finanziabilità) non potesse essere provato, anche e soprattutto in relazione ai criteri OMI, i quali sono “meramente indicativi e, comunque, non sostitutivi di un’attività di stima”.
2. L’articolo 38 T.U.B.
Per meglio comprendere la decisione del Tribunale di Reggio Emilia, occorre aver ben presenti i due poli lungo cui si è snodata la sua pronuncia, e, cioè, l’art. 38 T.U.B. e i criteri OMI.
Quanto alla norma del Testo Unico Bancario, questa dispone che “Il credito fondiario ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili.
La Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del C.I.C.R., determina l’ammontare massimo dei finanziamenti, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi, nonché le ipotesi in cui la presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie non impedisce la concessione dei finanziamenti”.
In virtù della previsione normativa di cui sopra, con successiva delibera di attuazione del 22 aprile 1995, il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (C.I.C.R.) ha statuito che “l’ammontare massimo dei finanziamenti di credito fondiario è pari all’80 per cento del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sugli stessi. Tale percentuale può essere elevata fino a1 100 per cento, qualora vengano prestate garanzie integrative […].
In presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie su un immobile, ai fini della determinazione dell’ammontare massimo di un finanziamento di credito fondiario, al relativo importo va aggiunto il capitale residuo del finanziamento pregresso”.
Si è, dunque, assistito nel corso del tempo ad una sorta di procedimento di “parziale” delegificazione, in cui i contenuti della norma generale sono stati integrati da provvedimenti della Banca d’Italia e dalle delibere del C.I.C.R.
Giova precisare che il limite di finanziabilità, così come determinato dalla delibera del 1995, risponde all’esigenza di limitare il rischio delle operazioni, andando ad escludere quelle che ab initio non presentano sufficienti garanzie di un buon esito.
Una delle principali funzioni economiche del credito fondiario è quella di consentire l’acquisto di beni di valore (come gli immobili) offrendo al finanziatore una garanzia adeguata.
Più in generale, il credito fondiario serve a finanziare un soggetto che ha già (oppure sta per assumere) un debito, di norma d’importo elevato, e – a tal fine – offre un immobile come garanzia ipotecaria ( V. Sangiovanni) .
Nel caso tipico di credito fondiario finalizzato all’acquisto di un immobile, tale istituto mira a proteggere l’acquirente, il finanziatore e – più in generale – il sistema bancario.
Gli artt. 38-41 T.U.B. stabiliscono, in definitiva, diverse regole finalizzate a mediare fra le posizioni dei vari soggetti coinvolti.
L’art. 38, comma 2, T.U.B. dispone che “la Banca d’Italia, in conformità alle deliberazioni del C.I.C.R., determini l’ammontare massimo dei finanziamenti, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati, e al costo delle opere da eseguire sugli stessi, nonché le ipotesi in cui la presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie non impedisce la concessione dei finanziamenti”.
Quanto all’imperatività dell’art.38 T.U.B., la disposizione è posta a tutela dell’interesse pubblico; in presenza di tale finalità, quindi, non può in alcun modo essere derogata dalle parti.
Gli interessi pubblici che il limite di finanziabilità intende perseguire consistono, in buona sostanza, nel garantire al mutuante un sicuro e rapido strumento di recupero delle somme erogate; nel rispetto di quanto stabilito nel contratto e nella tutela del debitore da eventuali aggravi relativi ai rischi di una espoliazione.
Sul punto si è pure pronuncia Corte di Appello di Venezia, con sentenza del 25 giugno 2019, n. 2660, la quale ha stabilito che: “Il superamento del limite massimo di finanziabilità comporta la nullità del mutuo in quanto la ratio della norma è quella di non esporre il mutuatario debitore ai rischi di espoliazione. Il limite di finanziabilità risponde all’esigenza di circoscrivere il rischio insito in operazioni che non presentano ex ante sufficienti prospettive di effettiva fattibilità e buon esito per cui attiene ad interessi pubblici, di sistema, essendo una norma imperativa di validità del contratto”.
3. I criteri “OMI” e le conclusioni del Giudice sulla loro esatta portata.
Il secondo polo su cui si è snodata la decisione del Tribunale, è costituito dai c.d. criteri OMI.
Si tratta di uno strumento di cui si avvale l’Agenzia delle Entrate, con diverse finalità.
E’ opportuno precisare che l’OMI, acronimo di “Osservatorio del Mercato Immobiliare”, è una divisione dell’Agenzia delle Entrate che si occupa della gestione della banca dati delle quotazioni immobiliari.
L’Osservatorio provvede, soprattutto, alla rilevazione e alla elaborazione dei dati relativi al valore di vendita e di affitto degli immobili e dei terreni.
Le funzioni dell’OMI riguardano, fondamentalmente, la garanzia di massima affidabilità sulle quotazioni dei prezzi di mercato degli immobili e sui valori di riferimento che sono contenuti all’interno della sua banca dati; la valorizzazione dei dati disponibili nelle banche dati dell’Agenzia del Territorio, in particolare, in relazione all’amministrazione finanziaria; la conduzione di studi e analisi del mercato immobiliare e di tutti i fenomeni che lo caratterizzano.
Quanto ai criteri OMI, è stato più volte precisato dalla stessa Agenzia delle Entrate che le valutazioni dell’Osservatorio, realizzate in base a campioni di immobili che si trovano in zone territoriali omogenee e non correlati alle caratteristiche e all’ubicazione del singolo immobile, sono utilizzate dall’A.E. per accertare il valore di un immobile oggetto di un atto soggetto ad imposizione fiscale.
Le linee guida OMI, tuttavia, in relazione alla loro natura e alla loro funzione, hanno una finalità meramente indicativa e non possono sostituirsi ad una attività di stima, che si fondi, almeno in prima battuta, su elementi comparativi, reperiti per il tramite di indagini di mercato.
Sulla questione si era già pronunciata la Suprema Corte di Cassazione che, con l’ordinanza n.13992 del maggio 2019, aveva precisato che “le quotazioni OMI costituiscono uno strumento di ausilio ed indirizzo per l’esercizio della potestà di valutazione estimativa”; di talché, essendo nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza, sono utilizzabili dal giudice, ai sensi dell’art. 115, comma 2 c.p.c., ma sono idonee solamente a condurre ad una indicazione di valori di larga massima (sul punto si veda, altresì, Cass., Sez. VI, 21 dicembre 2015, n. 25707).
Le quotazioni OMI hanno, dunque, natura meramente indiziaria; queste devono, cioè, essere integrate dagli ulteriori criteri e griglie con i quali, generalmente si provvede alle valutazioni.
Alla luce di quanto esposto appare, dunque, chiara e logica la decisione del Tribunale di Reggio Emilia di non aderire a quanto segnalato dal Liquidatore, e di ammettere l’istante al passivo in via ipotecaria, anche e soprattutto in virtù dell’impossibilità di dimostrare il superamento delle soglie di cui all’art. 38 T.U.B., superamento che era, invece, stato paventato dallo stesso Liquidatore (mettendo a fondamento della valutazione anche le linee OMI).
L’esatta portata dei criteri “OMI” e l’individuazione del limite di finanziabilità ex. art. 38 T.U.B.
21 Giugno 2021
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